“L’ETICA NELLA VITA ASSOCIATIVA”

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Gen. Rolando Mosca Moschini

Salerno, 2 dicembre 2021

Il Professore e amico Enrico de Campora mi ha invitato ad offrirvi qualche considerazione, qualche riflessione su un tema che, a mio avviso, dovrebbe occupare la mente e il cuore di ogni buon cittadino “L’etica nella vita associativa”.

Siamo tutti coinvolti in questa materia, perché viviamo ed operiamo in una società, perché nel corso della nostra vita abbiamo spesso vissuto in un contesto associativo.

Noi tutti siamo stati o siamo componenti di gruppi di individui con un determinato fine. E la tendenza a riunirsi in associazioni costituisce uno dei motori della costruzione sociale.

Le associazioni sono come tessere importanti di un grande mosaico: la società in cui viviamo. L’individuo percepisce la debolezza della sua individualità di fronte a problemi e a obiettivi che la vita ci pone e, quindi, ricerca la cooperazione con altri individui, sente il bisogno di unire le forze per perseguire con successo un fine comune. 

Questa è l’essenza dell’associazionismo.

La partecipazione alla vita associativa si distingue dai gruppi di quella che possiamo definire “socialità primaria” (famiglia, vicinato, gruppi di amici) perché essa è attiva, deliberata, facoltativa e revocabile.   

Suppongo che il Professor de Campora, invitando a parlare di etica un Generale che ha trascorso decenni nell’associazionismo militare abbia ben calcolato il rischio di ascoltare considerazioni fortemente influenzate dall’etica militare.

Ma vedrete che i capisaldi di riferimento dell’etica militare non si discostano e spesso si sposano con quelli dell’associazionismo in genere, o sono ad essi complementari.

A premessa di quanto sto per dire, desidero parteciparvi la mia convinzione che ci sia un nesso importante tra l’etica della vita associativa e i concetti di libertà e di sicurezza.

Probabilmente siete sorpresi da questo assunto ma confido nella vostra condivisione al termine di queste mie riflessioni.

Con riferimento al concetto di libertà, in una società organizzata l’individuo è libero nel momento in cui comprende e giustifica le regole alle quali è sottoposto.

Con riferimento al concetto di sicurezza, credo fermamente nella sicurezza inclusiva e, cioè, l’individuo è tanto più sicuro quanto più riesce a condividere con i suoi vicini principi di vita, valori, ideali, obiettivi e meccanismi di sviluppo.

La condivisione produce sicurezza, le divergenze, i muri, i fossati minano la sicurezza.

Naturalmente, questo vale anche per soggetti più complessi quali stati o alleanze.

Infatti, ho trovato per la prima volta questo concetto di “sicurezza inclusiva” in un documento illuminante e cardine dell’Unione Europea: “La European Security Strategy” prodotta nel 2003 da Xavier Solana che allora era l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Difesa e la Sicurezza.

Veniamo ora al nocciolo del nostro tema, torneremo più avanti su questi concetti di libertà e sicurezza.

 L’etica è quella branca della filosofia interessata allo studio degli elementi che permettono di discernere i comportamenti umani buoni, giusti e leciti da quelli ritenuti cattivi ovvero moralmente inappropriati.

L’etica fa quindi dei valori morali alla base del comportamento umano l’oggetto del suo studio. 

Essa è quindi la disciplina di quelle forme di condotta approvate dalla comunità e guida il comportamento umano rispetto ai valori morali.

Ogniqualvolta due o più individui decidono di associarsi per perseguire uno scopo comune si pone un problema di giudizio sui comportamenti assunti dai singoli. Sono in genere valutati positivamente i comportamenti in linea con l’interesse collettivo e negativamente i comportamenti in contrasto con il conseguimento dello scopo comune.

In risposta al soddisfacimento dei bisogni comuni la società attribuisce particolare significato a talune azioni il cui senso, collettivamente riconosciuto, costituisce l’insieme dei cosiddetti valori etico-morali.

E proprio i valori etico-morali di riferimento sono carenti nella moderna società globalizzata. La crescita esponenziale delle interconnessioni tecnologiche, che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni, ha determinato fenomeni sociali complessi, con tendenza della comunicazione interpersonale e dell’informazione a divenire superficiali, povere di contenuti e, appunto, di valori. In aggiunta, la perdurante crisi economica ha palesato i limiti di un modello basato sul ciclo produzione-consumo finalizzato esclusivamente al profitto, un modello basato sulla logica del profitto.

Nella società di oggi l’individualismo è piuttosto diffuso. 

Gli ideali dell’uomo sono spesso il successo individuale, il consumo, la ricchezza, la fama, soprattutto quella mediatica.

Si avverte talvolta una progressiva e dilagante irrilevanza e quasi sprezzante rifiuto degli aspetti etici dei comportamenti.

Il lecito e l’onesto, per chi ha responsabilità verso qualsiasi istituzione, collettività o formazioni sociali e morali, non può limitarsi agli aspetti giuridici di violazione delle leggi penali. Devono questi essere valori fortemente sentiti.

Tale quadro di situazione ha progressivamente posto in primo piano l’Associazionismo quale uno dei principali pilastri delle moderne società e democrazie. Il sano associazionismo sostituisce alla logica del profitto quella del bene comune, che si fonda essenzialmente su una solida base di valori, il cui rispetto costituisce, in qualsiasi Stato di diritto, il fondamento delle Istituzioni, per una ordinata convivenza civile e per il benessere dei cittadini.

Soltanto i principi etici possono unire la compagine sociale contro gli egoismi, le violenze materiali e psicologiche, in uno spirito di sostanziale rispetto della dignità delle altre persone, di reciproca e leale collaborazione, con metodi di correttezza e trasparenza senza insofferenza a controlli di organi a ciò deputati.

Penso che a questo punto sia utile ricordare brevemente la storia dell’associazionismo in Italia. Essa mette in evidenza un Paese che, se confrontato con gli altri Paesi economicamente avanzati, è stato in passato povero di risorse associative a causa di carenze culturali, soprattutto nelle aree a sviluppo più lento e poi perché l’Italia è arrivata dopo altri Paesi alla realizzazione di una società industriale compiuta. Tra Ottocento e Novecento, infatti, l’Italia ha tardato a costruire quegli assetti di democrazia pluralista che costituiscono il terreno necessario allo sviluppo di una solida società civile. Quando fu poi avviato un percorso di modernizzazione, questo processo, appena iniziato, venne precocemente interrotto dall’avvento del regime fascista che, oltre a ostacolarne la crescita, contribuì alla politicizzazione del tessuto associativo.

Una ricerca condotta all’inizio degli anni ‘60 segnala come in Italia nel 1959 si dichiarasse membro di un’associazione solo il 29% degli intervistati, contro il 57% degli Stati Uniti, il 47% della Gran Bretagna e il 44% della Germania occidentale. Particolarmente ridotta in Italia risultava la partecipazione ad associazioni di tipo sociale, mentre comparativamente alto risultava l’impegno in organizzazioni di tipo politico. Diversamente da quanto accadeva nelle nazioni economicamente più avanzate, in quegli anni in Italia la militanza nelle organizzazioni politiche era più frequente dell’impegno nelle associazioni che operano prevalentemente nel sociale, mettendo in luce il ritratto di una società civile debole ed egemonizzata dai partiti.

Una serie di eventi ha poi iniziato a cambiare l’assetto socioculturale del nostro Paese, con effetti sull’associazionismo: il boom economico, l’avvio di processi di scolarizzazione e urbanizzazione, la fase di turbolenza sociale con le rivendicazioni operaie nelle fabbriche del Nord e la contestazione studentesca. Sino agli anni ’90 le ricerche mettono in evidenza, comunque, il perdurare di una situazione di “povertà associativa”. È importante però sottolineare che questa situazione non corrispondeva necessariamente ad una assenza di impegno sociale tout-court delle singole persone. Gli studi hanno evidenziato, infatti, che in quel periodo, a fronte di una scarsa appartenenza ad associazioni, si è sviluppato l’impegno attivo individuale dei cittadini con forme di partecipazione civica resa individualmente, al di fuori di organizzazioni strutturate.

È negli anni ’90 che prende avvio uno sviluppo significativo dell’associazionismo nel nostro Paese, sempre con differenze tra le regioni: le aree del centro-nord decisamente più avanti in termini di partecipazione rispetto a quelle del sud. Questa differenza è dovuta a una serie di fattori: benessere economico, tasso di disoccupazione, livello culturale. 

In tempi recenti, ed esattamente nel 2016, l’Italia ha riconosciuto giuridicamente il Terzo Settore (Legge Delega 106/2016) quale sistema sociale ed economico, costituito da circa 300.000 associazioni di varia natura, che si affianca alle istituzioni pubbliche nei servizi orientati al bene pubblico. Esso è stato definito “il complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività d’interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi, in coerenza con le finalità stabilite nei rispettivi statuti o atti costitutivi”[1].

La principale finalità perseguita dalla legge delega è la semplificazione del complesso settore attraverso la revisione delle norme contenute nel Codice Civile in tema di associazioni e fondazioni. Il Governo è stato delegato a riorganizzare il sistema di registrazione degli enti attraverso la messa a punto di un Registro unico nazionale del Terzo settore[2], l’iscrizione al quale è obbligatoria per tutti gli enti che si avvalgano “prevalentemente o stabilmente” di fondi pubblici, privati, raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni, o fondi europei. 

Le funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo sono svolte dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il coordinamento della Presidenza del Consiglio. 

La riforma ha successivamente trovato concreta attuazione con il D. Lgs. 117/2017 “Codice del Terzo settore”[3]. La normativa è volta a “sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva. 

Oggi le associazioni declinano di norma i propri principi in un vero e proprio “codice etico”, che costituisce il riferimento delle proprie attività. Esso è fondato su una forte base valoriale, tra cui spiccano valori quali umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, trasparenza, collaborazione, rispetto, integrità, autonomia, correttezza, rifiuto di ogni discriminazione, tutela dell’ambiente.

I primi quattro, in particolare, (umanità imparzialità, neutralità e indipendenza) hanno una stretta attinenza con l’attività umanitaria, che costituisce l’aspetto principale e più nobile dell’associazionismo. Il nostro Paese ha aderito a tutti i trattati internazionali più importanti in materia come le Convenzioni dell’Aja e le Convenzioni di Ginevra. L’azione umanitaria dell’Italia si ispira infatti ai principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza.

Questi sono anche i principi che le Nazioni Unite hanno da sempre posto alla base delle attività delle Organizzazioni umanitarie ricadenti sotto la propria sfera di influenza, e sulla base dei quali le stesse organizzazioni godono di uno status di particolare protezione in aree di crisi o in tutte quelle situazioni conflittuali ove, diversamente, l’attività benevola non potrebbe essere svolta.

In particolare, il principio di umanità sancisce quale dovere morale di ogni individuo quello di alleviare la sofferenza umana, in qualunque forma e ovunque essa si manifesti; il principio dell’imparzialità afferma che gli attori umanitari e i volontari non devono “prendere parte” alle dispute o ai conflitti; il principio della neutralità sottolinea che l’assistenza umanitaria deve essere fornita senza discriminazione di alcun tipo; il principio dell’indipendenza ribadisce che i volontari e gli attori umanitari devono essere liberi da qualunque condizionamento o pressione da parte di soggetti o interessi esterni.

Oltre a questi quattro fondamentali principi di riferimento, vi sono svariati principi morali che, in diversa misura, costituiscono l’ossatura delle diverse associazioni, sulla base delle rispettive peculiarità. Tra essi, rilevano i seguenti:

  • trasparenza: il personale che opera nell’ambito delle associazioni deve garantire il massimo livello di trasparenza nei confronti dei donatori e dei partner; 
  • collaborazione: il personale deve operare all’insegna del rispetto reciproco, valorizzando le peculiarità e mettendo a sistema le energie degli associati;
  • integrità: gli operatori devono lavorare con onestà morale e comportamentale, evitando di compromettere in alcun modo la reputazione dell’organizzazione di riferimento e dei rispettivi donatori o associati, agendo sempre nel superiore interesse degli assistiti;
  • autonomia: tutti gli associati devono essere liberi di esprimere la propria opinione. L’associazione deve favorire la libertà e l’autonomia individuali nel perseguimento degli ideali e dei compiti istituzionali;
  • correttezza: il lavoro degli associati deve essere improntato alla massima correttezza, evitando qualsiasi forma di favoritismo e privilegiando l’interesse generale delle Istituzioni di riferimento;
  • rifiuto di ogni discriminazione: l’associazionismo deve ripudiare e combattere qualunque forma di discriminazione (di genere, di diversa abilità, di religione, ecc.);
  • tutela dell’ambiente: l’operato degli associati deve ispirarsi ai protocolli nazionali ed internazionali inerenti al rispetto delle norme di tutela ambientale, utilizzando le risorse in maniera responsabile e diligente al fine di evitare sprechi, garantire il rispetto dell’ambiente e contribuire allo sviluppo sostenibile, nella consapevolezza che, come affermavano gli indiani d’America, “non abbiamo ricevuto in eredità la terra dai nostri padri, ma in prestito per i nostri nipoti”.

L’associazionismo sano contribuisce alla diffusione dei valori della pace, della libertà, della legalità, della tolleranza ed a promuovere stili di vita caratterizzati da senso della responsabilità, accoglienza, solidarietà e giustizia sociale.

Lavoriamo per migliorare noi stessi e così renderemo migliore la nostra società.

È mia ferma convinzione che questo patrimonio di valori dell’associazionismo sano trovi –come dicevo- un completamento nel patrimonio proprio dell’associazionismo militare. Ed ecco che viene fuori il Generale!

La base valoriale, oltre ad essere un fondamentale prerequisito, costituisce il vero e proprio core business delle attività dell’Associazionismo militare. Tramandare alle nuove generazioni l’etica militare e i valori su cui è costituita la nostra Società è per le associazioni militari una vera e propria missione. 

I valori delle associazioni militari sono quelli propri della militarità. Ad essi si ispirano tutti gli uomini e le donne con le stellette.

Patria, disciplina, onore, coraggio, senso del dovere, lealtà, spirito di corpo, tradizioni. Tali valori sono condensati nella formula del giuramento, che costituisce atto simbolico dal profondo significato etico-morale[4].

La Patria

Il concetto di Patria è in sostanza un sistema valoriale che, partendo da ragioni d’ordine geografico ed etnico, determina nel tempo la naturale formazione ed evoluzione delle strutture sociali. Esso è quindi prettamente ideale, non riconducibile ad una definizione univoca ma a un ricchissimo insieme di valori da custodire e tramandare. 

Quasi sempre l’idea di Patria si associa a quella di sacrificio: si può dire che “morire per la Patria” sia stato un ideale che ha attraversato l’intera storia dell’umanità. L’art. 52 della nostra Costituzione recita: “La difesa della Patria è sacro dovere di ogni cittadino”. 

Naturalmente, difesa in senso ampio, non riferita certo al solo territorio.

La disciplina

La disciplina è definita come il comportamento improntato al rispetto del complesso di norme che regolano un gruppo di individui. Il Codice dell’Ordinamento Militare precisa, nella definizione di disciplina, che essa “costituisce il principale fattore di coesione e di efficienza”.  La disciplina è quindi l’habitus mentale di adempiere esattamente e coscienziosamente a tutti i propri doveri, non per timore di pena o speranza di ricompensa, ma per l’intima convinzione della loro necessità. Questa è l’essenza della cosiddetta disciplina consapevole.

L’onore

Può definirsi come il complesso dei pregi personali su cui si fonda la pubblica stima, che si evolve e consolida nel corso della vita. L’onore militare, in particolare, oltre a prevedere rettitudine di vita e onestà morale, racchiude in sé un significato più profondo, quale impegno morale e giuridico al dovere di fedeltà, in ragione del vincolo del Giuramento.

L’onore militare è, in sintesi, l’elemento spirituale verso cui il militare ispira la propria condotta, nella consapevolezza radicata della propria dignità di soldato, con l’intento di mantenerla nel costante rispetto dei principi etico-morali della condizione militare. 

Il coraggio

Ritenuto uno dei valori etici di riferimento della compagine militare, esso è definito come la disposizione dello spirito ad affrontare difficoltà e pericoli per portare a compimento azioni generose e ardite. Esso non va confuso con il rischio inutile, presupponendo la consapevolezza dei risvolti connessi con le proprie decisioni. Oltre al coraggio fisico (azioni ardite) è fondamentale il coraggio morale, che rappresenta il coraggio delle proprie idee e la volontà di perseguirle, assumendosene la piena responsabilità. 

Il senso del dovere

È un principio morale complementare alla disciplina. Per il militare, il senso del dovere non attiene solo all’esecuzione degli ordini con prontezza, senso di responsabilità ed esattezza, ma al rigoroso e consapevole rispetto degli obblighi derivanti dai regolamenti vigenti, senza lasciarsi sviare da ragioni di interesse personale. 

La lealtà

È la componente del carattere che induce una persona ad attenersi a particolari valori di correttezza e sincerità anche in situazioni difficili, mantenendo le promesse iniziali e comportandosi in ossequio ad un codice prestabilito. Si può intendere la lealtà di una persona come il grado di coerenza tra il suo comportamento nella pratica e gli ideali che la stessa professa. 

Lo spirito di corpo

È definito come il sentimento di solidarietà che, fondato sulle tradizioni etiche e storiche del Corpo, unisce i membri di una stessa unità al fine di mantenere elevato ed accrescere il prestigio e l’onore del corpo stesso. Lo spirito di corpo è quell’impulso di gruppo che permette di trasformare un insieme di individui in una “squadra”, non annullando le differenze ma valorizzando le individualità, armonizzandole e canalizzandole verso un obiettivo comune. 

Le tradizioni

Nell’associazionismo in genere e, in particolare, in quello militare, le tradizioni costituiscono un elemento di importanza cardinale: il complesso delle memorie, notizie e testimonianze trasmesse da una generazione all’altra. La tradizione consiste essenzialmente in abitudini, usanze, costumi, consuetudini ma principalmente valori. 

Affinché le tradizioni assumano una funzione educativa, è fondamentale che non si riducano a puro formalismo ma che sia mantenuta ben salda la coscienza del loro significato. 

Le tradizioni militari si compenetrano indissolubilmente con quelle civiche e familiari degli italiani.

Come vedete c’è sovrapposizione, complementarità tra il patrimonio valoriale dell’associazionismo militare e quello dell’associazionismo civile.

Credo che la sinergia tra questi due patrimoni valoriali costituisca la chiave per la crescita dell’associazionismo in generale, una sinergia che, a mio avviso, costituisce anche prezioso motore per la crescita della nostra società, del nostro Paese.

Tento ora di ricapitolare le principali riflessioni di questa mia esposizione. 

La società moderna sta vivendo una crisi valoriale alquanto grave. Ciò può ascriversi ad una serie di fattori, tra i quali la globalizzazione, il consumismo, la spinta informatizzazione (soprattutto delle relazioni sociali), un nuovo assetto sociale che ha modificato le dinamiche educative dei principali soggetti preposti alla salvaguardia dei valori di riferimento (famiglia e scuola). È un trend questo alquanto preoccupante, che vede il complesso valoriale che ha costituito per decenni il riferimento delle società moderne liberal-democratiche, sostituirsi progressivamente con altri valori meno “sani” quali il culto del denaro, il successo, la notorietà, lo status sociale, ecc.

In tale contesto, abbiamo detto che l’associazionismo è un baluardo ed uno dei principali strumenti per contrastare la suddetta crisi valoriale e per recuperare quella indispensabile base etico-morale che deve necessariamente costituire l’ossatura della moderna società. L’associazionismo sostituisce alla logica del profitto quella del bene comune. 

Le associazioni declinano i propri principi in un vero e proprio “codice etico”.

Tra le varie forme di associazionismo, quello militare, con il suo patrimonio di valori, vuole tramandare alle nuove generazioni l’etica militare e i valori su cui è costituita la nostra Società. 

Che si tratti di organizzazioni militari o civili, l’aspetto etico-morale deve necessariamente essere alla base di ogni associazione, indipendentemente dalla sua missione e dal contesto in cui opera. 

L’”associarsi” senza condivisione profonda e intimamente sentita dei valori etico-morali di riferimento è un esercizio sterile e inutile, talvolta dannoso. Al contrario, è dovere morale di ogni individuo impegnarsi nella ricerca e nel rafforzamento di quei legami valoriali che consentono di mettere in comune, nell’ambito di realtà pur eterogenee e complesse, quella rete di energie vitali e positive, presupposto del progresso dell’umanità.  

Il buon associazionismo consente all’individuo di trasmettere i propri valori ad altri e, allo stesso tempo, di arricchire il proprio patrimonio di valori. La morale privata è influenzata dalla vita consociativa che, a sua volta, è legata al sentire individuale.

La partecipazione alla vita pubblica si sviluppa soprattutto, nella società civile, per mezzo delle associazioni.

Le associazioni permettono agli individui di incontrarsi, stringere relazioni, scambiare idee ed opinioni. Attraverso l’interazione, ciascuno supera i propri pregiudizi unilaterali, si arricchisce, sviluppa la propria coscienza ed eleva il proprio animo: sorgono nuove idee. 

Le associazioni, quindi, contribuiscono al progresso umano.

Le associazioni sono vere e proprie palestre civiche, dove ci si esercita a perseguire il bene comune. Gli individui imparano a combinare i propri scopi con quelli degli altri.

Producono solidarietà e unità sociale.

Formano il cittadino (grande funzione sociale).

Sono luoghi di formazione e rafforzamento delle opinioni.

Le associazioni, consolidando il loro patrimonio di valori, contribuiscono alla costruzione del patrimonio valoriale della società.

L’individuo assorbe progressivamente regole di comportamento e, a sua volta, contribuisce ad ampliare la platea di chi condivide determinate regole comportamentali.

L’associazionismo contribuisce a indirizzare la nostra coscienza che resta giudice primario dei nostri comportamenti.

Concludo queste mie riflessioni richiamando i miei assunti iniziali di libertà e sicurezza.

L’Associazionismo, come ho prima detto, facilita la diffusione, la condivisione e la comprensione di regole comportamentali e, quindi, fa crescere il numero di coloro che comprendono e giustificano le regole da osservare.

Produce, quindi, individui liberi in una società organizzata

La condivisione di ideali, di valori, di principi di vita, di percorsi da seguire, obiettivi del sano associazionismo, producono la “sicurezza inclusiva” fattore determinante per il pacifico sviluppo della nostra società.

Mi piace, quindi, definire l’associazionismo produttore di libertà e sicurezza.

Spero vivamente –e termino- che i concetti di sinergia tra i patrimoni valoriali dell’associazionismo militare e di quello civile, di connessione tra associazionismo, libertà e sicurezza inclusiva costituiscano elementi di riflessione e di dibattito tra di voi.

Spero anche di avere un po’ stimolato il desiderio di ciascuno di noi di contribuire allo sviluppo dell’associazionismo per il bene del nostro sistema-paese.

Se così sarà, la mia esposizione non sarà stata inutile.

Grazie per l’attenzione


[1]   Nel Terzo settore non rientrano le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati e le associazioni professionali di categorie economiche.

[2]   Istituito la settimana scorsa presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

[3]   Il D. Lgs. 117/2017 è entrato in vigore il 3 agosto 2017 e discende dall’art. 1, comma 2, lettera b, della L. 106/2016.

[4] Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni.